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LE STORIE DI ORTHOM: CARMELO, UNA MARATONA E UNA FASCITE PLANTARE

LE STORIE DI ORTHOM: CARMELO, UNA MARATONA E UNA FASCITE PLANTARE

Carmelo ha corso la sua Maratona di Ragusa ed è arrivato soddisfatto al traguardo dei 42 chilometri perché ha battuto il suo record personale e si è guadagnato una bella posizione in classifica. All’arrivo c’è un bel sole, la famiglia pronta ad abbracciarlo e la gioia di incrociare lo sguardo dei compagni di avventura, ebbri di fatica e adrenalina. Insomma, tutto perfetto, se non fosse per quel piccolo fastidio alla pianta del piede destro apparso timidamente al 35esimo chilometro e arrivato insieme a lui, imperterrito e progressivamente crescente, fino al traguardo. Quel pungolo nella scarpa non preannuncia nulla di buono. Non sarebbe la prima volta per Carmelo: fermarsi settimane o addirittura mesi per una fastidiosa fascite plantare. L’incubo di ogni runner. 

 

Carmelo sale sulla pedana

Il nostro Carmelo è uno dei circa 80 atleti che noi di Orthom abbiamo ospitato nello spazio screening alla Maratona di Ragusa. Non ci ha pensato due volte, subito dopo il ristoro, a salire sule nostre pedane baropodometriche per capire la causa del suo fastidio. Per noi è un privilegio poter valutare gli atleti in questo momento: in genere hanno una soglia di stress muscoloscheletrico così alta che in studio è difficile portarli oltre quella soglia, cosa che invece avviene naturalmente dopo una gara. 

Le endorfine ancora in circolo, che hanno un forte effetto analgesico, attenuano molto fastidi e dolori percepiti da Carmelo. Ma al nostro screening non sfugge nulla.  

 

Perché una baropodometria 

La procedura che, con mezzi ancora più sofisticati effettuiamo anche in studio, è questa: prima l’anamnesi, poi un’approfondita analisi statica dell’appoggio per valutare la distribuzione dei carichi quindi l’analisi dinamica per registrare la deabulazione con l’organismo sovraccaricato di “fatica”. In questo modo possiamo notare le alterazioni biomeccaniche ed effettuare la rilevazione posturale globale dell’organismo in relazione all’appoggio. Infine, Carmelo si stende sul lettino per valutare in posizione supina la mobilità articolare del piede e dei vari sovraccarichi sviluppati post gara. Obiettivo: individuare il problema e soprattutto la causa. 

 

E adesso, serve un plantare?

Non è detto. Prima di prescrivere un plantare bisognerebbe capire per esempio se il piede che dà problemi è causativo (cioè è la causa del problema stesso) o adattativo (sta compensando problemi che arrivano da altre zone del corpo). Questa analisi non si può fare se nel team non ci sono competenze osteopatiche: molte volte per esempio un blocco strutturale può essere risolto con il semplice “soft tissue” di un comparto muscolare.

Poi bisognerebbe valutare i diversi tipi di piede sportivo: c’è quello piatto valgo, il cavo valgo e il disarmonico. Tutti presentano caratteristiche, appoggio e propulsione differenti e da valutare nel dettaglio. In tanti casi un plantare serve eccome, infatti anche il nostro Carmelo, come tanti suoi colleghi, ne indossa già uno. Perché allora la fascite o altri problemi come le spine calcaneari sono sempre in agguato?

 

Occhio: ci sono plantari e plantari

Ci sono cioè quelli fatti per camminare e quelli studiati per correre. I primi andrebbero prescritti dai podologi e i secondi dai podologi specializzati in biomeccanica e riabilitazione per lo sport. La prassi è invece uniformare camminata e corsa e prescrivere gli stessi plantari. Come quasi tutti quelli che abbiamo visto indossare a Carmelo ai runner esaminati. Tutti ottimi plantari, certo, ma per passeggiare, non certo per affrontare 42 chilometri di corsa. Tra le due attività, per noi che abbiamo approfondito la biomeccanica della corsa, c’è una bella differenza. Che adesso è chiara anche a Carmelo e ai suoi colleghi. 

Un plantare sportivo deve infatti avere una triplice funzione, da personalizzare per ogni tipo di piede e per ogni atleta: stabilizzare l’ingresso del piede durante la prima fase di appoggio (contact phase), schiacciarsi completamente durante la fase di rullaggio (foot flat phase) e dare una propulsione nella fase di stacco (propulsive phase). 

Esistono anche diversi materiali, molto più adatti di altri per gli sportivi. Per esempio quelli realizzati con resine innovative che permettono di coniugare l’elasticità dei modelli in carbonio, la stabilità dei classici su calco e una flessibilità estrema che li rende quasi impercettibili. Il nostro team ha consigliato a Carmelo quello giusto per lui e saprà trovare la soluzione perfetta anche per te.